sabato 12 gennaio 2013

11. il Grande Precettore

(dal testo “Facets of Brahman, or the Hindu Gods” by Swami Chidbhavananda)

Non ci sono vicende come gli alti e i bassi nello spazio. È una vasta distesa che trascende tutte le forme. Colui che raggiunge le cime delle montagne vede ovunque questo spazio infinito che si espande sempre. Shiva è sia con forma che senza, ci sono poi varie gradazioni nelle forme in cui rivela Se stesso.

L’universo manifesto è la Sua forma più grossolana. Per chi è assoggettato dai sensi questo universo è la sola realtà. Ma per colui che avanza spiritualmente questo universo fenomenico si trasforma in Realtà Supercosmica. in altre parole, solo Shiva esiste in tutte le forme e su tutti i piani.

Il finale, per quanto lo riguarda, è Dakshinamurti. Il significato etimologico di questa parola è che “Egli è seduto rivolto verso Sud”. Un albero di banian funge da baldacchino per Lui e simbolizza inoltre la vita fenomenica.

È attraverso l’uso appropriato del fenomenico che il noumeno può essere raggiunto. Il primo è il mezzo e l’ultimo è il fine, ma la persona illuminata non vede differenza tra fine e mezzo. Per quanto sia limitato dal fenomeno egli vede il mezzo stesso come il fine. Essere nel mondo è un’opportunità da utilizzare per l’auto-emancipazione. Ma essere del mondo del tutto è nient’altro che depravazione, caratteristica dell’ignorante. L’uomo che sa, d’altro canto, si avvale di questa esistenza terrena per ascendere allo stato del Trascendente e all’assoluto. Solo questo è il piano e il proposito di una vita eminente.

La parola Guru denota maggiore anzianità. Shiva ha diritto ad essere chiamato Guro a motivo della sua età maggiore rispetto ad ogni cosa che esiste. Egli è il Dio degli Dei.

Egli è anche l’Uno Antico. In nessun modo qualcuno lo eguaglia in età. Tuttavia quando assume la forma di Dakshinamurthi si presenta come un giovane in Boccio. Il fatto è che la realtà non invecchia. Nessun cambiamento di qualche tipo ha luogo in Lui. In altre parole Egli mantiene l’eterna giovinezza. Il più anziano degli anziani è il più giovane dei giovani.

Quando l’Universo manifesto viene assorbito innumerevoli volte, egli rimane intatto. A motivo di questa condizione statica egli rimane sempre fresco e nuovo. In strano contrasto con Lui, coloro che hanno deciso di essere Suoi discepoli sono molto avanti di età. Essi sono divenuti Rishi (saggi), maturi sia nel corpo che nella mente. Questa apparente anomalia non è senza motivo. Questi discepoli hanno a loro credito l’esperienza di innumerevoli nascite. Essi hanno conosciuto più che a sufficienza sull’esistenza mondana. Non hanno bisogno di sottostare ad alcuna altra esperienza. Sotto questo punto di vista essi sono realmente più anziani. Si può dire che siano pienamente maturi in età. In questo contesto è quanto meno appropriato designare il Precettore come un giovane e i discepoli come uomini molto anziani.

Il Grande Precettore Dakshinamurthi ha assunto su un piedestallo la posizione di un eroe Veerasanam. E perché dovrebbe fare questo? È usuale per un vincente mettersi in quella posizione, Shiva può essere appropriatamente chiamato il Signore degli eroi.

La più grande conquista è quella del sé inferiore. Questa conquista è concomitante con il conseguimento della conoscenza di sé. Colui che realizza questa Realtà diventa uno con essa ed il sé inferiore viene dimenticato una volta per sempre. Avendo conosciuto la Realtà per lui non c’è più nulla da raggiungere.

Colui che fa affidamento sui beni terreni è obbligato prima o poi a lasciarli. Ma colui che raggiunge il Sé lo ha raggiunto per sempre. La questione di perderlo non sorge più. Perciò la conquista del Sé è la più grande di tutte.

Nell’acquisizione della ricchezza materiale il guadagno di uno può giustificare la perdita di un altro. La condizione di proprietario può mutare un gran numero di volte. Ma nel caso dell’acquisizione della conoscenza nonè così. In particolare l’autoconoscenza si aggiunge al comune benessere e non porta via nulla a nessuno. Non può che essere giusto e appropriato che chi è imbevuto di autoconoscenza  assume il Veerasanam, la posizione dell’eroe. Dakshinamurti ha giustamente assunto quella posa di vittoria.

Il pollice e l’indice della sua mano destra si incontrano indicando Chinmudra, la posa di saggezza. Per convenzione si ritiene che il pollice rappresenti Shiva e l’indice il sé individuale. Le rimanenti tre dita rappresentano le triplici scorie dell’illusione, della fatica e dell’egoismo. Attraverso questo mudra esse sono negate dal sé individuale.

Liberato da tutte le impurità, questo sé riguadagna l’unione con il Sé cosmico. È come acqua purificata che viene versata in acqua pura. Ciò che fu per un certo tempo una coscienza condizionata è di nuovo riaffermato in Pura Coscienza.

Shiva, il Precettore Cosmico, attraverso Chinudra indica la meta suprema veso la quale tutte le creature si stanno dirigendo. Pace e beatitudine soltanto prevalgono nello stato di Shiva. Egli è reputato come la vera incarnazione di questa suprema conoscenza. Egli è anche la personificazione di OM, il suono Brahman. In questo stato Egli è anche indicato come Iswara.

In Dakshinamurthi il Dio personale si leva in alto fino alla Realtà impersonale. Esistenza, conoscenza e Beatitudine. Solo questo rimane, sempre stabile in Se stesso come l’assoluto.

Pensiero e Parola noon osano penetrare nello Stato Originale. Il parlare diviene muto molto prima di entrare in Esso. Là, ciò che prevale è il Silenzio Beatificato. In esso il sé individuale ha raggiunto la sua meta.

Con la posa di Chinmudra Shiva rende autoevidente quello stato ai pochi perfetti. C’è un incessante eloquenza nella Sua silente comunicazione dell’incomunicabile. i benedetti riceventi di questa esperienza sono gli asceti che si sono resi perfetti attraverso una austera aderenza al sentiero della rettitudine. Queste anime beate sono sedute alla Sua augusta presenza. Essi hanno a proprio credito la completa conquista della mente e dei sensi. La mente solitamente torbida nel loro caso ha raggiunto la purezza di un cristallo. È concesso solo a questi dominatori di sé stessi di divenire recipienti dell’insegnamento impartito dal Signore Shiva.

Il silenzio personificato in Lui è ora afferrato dai discepoli. Ogni ignoranza in loro è eliminata una volta per tutte. La conoscenza del Sé nel suo splendore brilla nei loro cuori. L’oceano della nascita e della morte è stato attraversato. Il fiume chiamato sé individualizzato è ora rientrato nell’oceano della Beatitudine. Il fiume ha perso la sua individualità.

Questo fondersi del sé nel Sé Cosmico è definito con vari appellativi: Il Regno di Dio, Liberazione, Unione di Shiva, Raggiungimento dell’Assoluto. Questi e molti altri termini si applicano ad esso. Il sé minore iniziò la sua carriera in uno stato di inerzia, per così dire. Passò attraverso un infinito processo di evoluzione. il risultato fu la liberazione della coscienza.

Infine la pura Coscienza presente nel sé minore divenne identica alla Coscienza Assoluta. Shiva Guru, Dakshinamurthi realizza questa grande funzione cosmica.

10. La forma si espande nel senza forma

(dal testo “Facets of Brahman, or the Hindu Gods” by Swami Chidbhavananda)

C’è un’altro principio che riguarda Shiva. Ed è meglio espresso attraverso un racconto mitologico.

Brahma, il Creatore, e Vishnu, il Preservatore, cominciarono ciascuno a elogiare la propria gloria e grandezza. Il tentativo era di stabilire la supremazia dell’uno sull’altro. Mentre erano sul punto di azzuffarsi fu percepita in mezzo a loro, da entrambe, la presenza di una terza personalità.

Nella mente di ciascuno dei due sorse la curiosità riguardo a questa nuova presenza. Decisero così di esaminare la testa ed i piedi dell’ovvvio intruso. Assumendo la forma di un cinghiale, Vishnu penetrò negli abissi, ma i piedi nonpoterno essere raggiunti per quanto in basso si fosse spinto.

Brahma, a sua volta, assunse la forma di un cigno e volò in alto per vedere la testa di quella presenza non invitata. Più il cigno si innalzava, più la sommità del capo recedeva verso l’infinito. Divenne impossibile ad entrambi gli Dei delineare la terza presenza. Pervennero alla medesima conclusione che si trattava di qualcosa di Trascendentale.

I teologi afflitti dal settarismo utilizzano questo racconto mitologico per assecondare i loro scopi. Essi fanno distinzione tra Dio e Dio e utilizzano questo mito per sottolineare la superiorità di un Dio sull’altro. Ma questo evento cosmico non è stato riportato dalla mitologia per fare confronti tra le divinità cosmiche. Si intende indicare che la Realtà è sia formale che senza forma. Mentre è immanente nelle forme, allo stessomomento le trascende. Quando viene espressa con parole tecniche Vedantiche essa è Saguna Brahman così come Nirguna Brahman. Tutti gli dei sono tante letture del Saguna Brahman. Dio con attributi, come essere dotato di forma, e ogni entità ha una individualità.

Per quanto possa essere Dio, una personalità individualizzata è incapae di comprendere appieno la Realtà Trascendente. Al di là di essa c’è la realtà assoluta. Ciò che entra nella comprensione dell’intelletto diviene, per così dire, limitato.

Tutti gli dei rientrano nella categoria di Saguna Brahman, la visione divina, la rivelazione, la comunione, l’esperienza mistica e le espeerienze soprannaturali di questo genere rientrano nel campo d’azione del Saguna Brahman.

Il conosciuto e il conoscitore sono interdipendenti. Quando l’anima che conosce si espande nella Coscienza indivisibile, tutte le esperienze dotate di forma si dileguano. Anche gli dei perdono la loro individualità nello Stato Assoluto. Qui si è fatto ricorso all’aiuto della mitologia per rendere chiara questa verità spirituale altrimenti incomprensibile, Tutte le forme, sia divine che mondane, vengono attratte e dissolte nella Realtà Assoluta senza forma.

venerdì 11 gennaio 2013

09. Nataraja

(dal testo “Facets of Brahman, or the Hindu Gods” by Swami Chidbhavananda)

Nataraja è un altro nome molto conosciuto e usato con cui viene adorato Shiva. Queto appellativo significa “Signore della Danza”. Grazie alla onnipotente presenza del Signore, c’è bellezza nel movimento delle sfere. Questo affascinante movimento è chiamato la sua danza. Sinfonie emanano da essa, perciò la danza è perfetta.

Tre aspetti di Brahman (il principio impersonale supremo e inconoscibile) devono qui essere comparati e confrontati.

La danza della Madre Kali è fenomenica, perciò è realistica. La danza di Shiva è del noumeno e idealista. Solo un intelletto purificato è capace di afferrarla. C’è attivismo in essa, mentre il sonno vigile di Mahavishnu è apparentemente tutto passività, benché sia anche nel noumeno.

Non solo Sabhapati presiede il panorama dell’universo, ma dà anche l’esempio di come le anime che vi aspirano debbano disciplinarsi per ottenere la perfezione. Un insegnante ideale è colui che scende al livello degli allievi e li conduce passo passo a livelli di comprensione sempre più alti. Facendo lezione a se stesso egli induce gli studenti al processo di apprendimento. Shiva è perciò adorato come il primo tra gli insegnanti. Egli guida le anime dal buio alla luce, dalla morte all’immortalità.

Un demone chiamato Andhakasura – o Mayulaka o Apasmara – giace desolato al suolo. Il suo fisico non ha nulla di aggraziato.Nataraja danza. Il suo piede destro quasi mai calpesta questo demone prostrato. Il demone simbolizza l’esistenza fenomenica. Egli costituisce le tre qualità mondane chiamate Gunas (le qualità, che sono Sattva, l’inerzia – Rajas il desiderio e Tamas l’ignoranza).

Siate nel mondo, ma non del mondo” è la lezione data da Shiva che cammina sul demone. La vita spirituale non è per colui che è legato dalla materia. In silente eloquenza Shiva si degna di concedere questa leyione al mondo illuso. L’altro piede, che è sollevato, comunica un altro messaggio.

Gli esseri viventi sono normalmente impegolati in stati di coscienza chiamati di veglia, sogno e sonno senza sogni. Essi passano attraverso queste esperienze in successione e non simultaneamente. Durante lo stato di vegli gli altri sono negati. In questo modo tutte e tre le esperienze subiscono l’annientamento una dopo l’altra. Hanno stretto il patto di non coesistere né di lasciare il campo tutte allo stesso tempo. In questa triplice alleanza succede che in un certo momento, nel corso della giornata, regni supremo uno solo di questi stati, e ciò che ha luogo in un giorno è invariabilmente ripetuto per tutta la vita dell’individuo. In questa mutevole situazione (sistema), di tanto in tanto è consentita una piccola variazione, ma nessuno del gruppo pensa mai di prendersi una vacanza.

A questo punto viene una chiara asserzione filosofica la cui verità neppure una persona su un milione è in grado di afferrare: “Qualunque cosa esista in un dato momento e cessi di esistere in un altro, non ha valore permanente”. un simile fenomeno transitorio è soltanto una verità relativa. Non ha né esistenza né valore assoluto. Questa massima conduce alla logica conclusione che tutti tre gli stati di esistenza – lo stato di veglia, di sogno e quello di sonno muto – sono pure fasi transitorie nella vita che indicano ciascuna a turno l’inattendibilità (o instabilità) delle altre due.

Varie denominazioni filosofiche sono assegnate a questi tre stati di esperienza: avasta triam, dominii dei tre dèmoni, tre piani di coscienza, tre mondi, tre irrealtà. Questi sono alcuni dei termini più diffusi. Il piede sollevato di Nataraja indica l’esortazione agli aspiranti spirituali a trascendere l’esistenza fenomenica, che è costituita da queste tre fasi transitorie.

Qui sorge un’altre domanda: c’è qualcosa che rimane quando questi tre stati di coscienza sono negati? La logica conclusione è che se nono ci fosse un substrato comune o un qualcosa che rimane, per così dire, non ci sarebbe continuità nell’individualità di nessuno. La persona che andasse a dormire la sera prima sarebbe diversa da quella che si sveglia la mattina successiva. A quella stregua non ci sarebbero né doveri, né obblighi e né responsabilità da parte di nessuno per gli atti di omissione e per quelli commessi. Ma il fatto è che l’individualità di una persona persiste in tutti e tre gli stati e anche nello stato trascendentale. Il Signore Shiva rende autoevidente che lo stato trascendentale è molto superiore all’esistenza fenomenica tri-fase.

La coscienza è considerata essere il substrato comune ai tre stati di esistenza così come allo stato trascendentale. Da ultimo il trascendentale si espande nell’assoluto, la meta verso la quale gli esseri stanno viaggiando consciamente o inconsciamente. Ciò che resta nello stato assoluto è Pura Coscienza o Pura Consapevolezza. Shiva ne è l’espressione. Shiva e la pura coscienza sono uno e la stessa cosa. La sua danza è per condurre le anime in questa Pura Esistenza, la danza di Shiva è chiamata “La Danza dell’Esuberanza” (sovrabbondanza).

L’egoismo è definito come l’identificazione del sé con il “non sé”. Il sé dell’uomo è l’Atman (Spirito Universale, l’Anima Suprema) e il “non sé” il corpo. L’uomo pensa a sé stesso come corpo e questo è egoismo. Ciò deve essere trasceso per emergere nella spiritualità. L’ego è paragonato alla radice dell’albero pipal e alla tigre. La radice dell’albero pipal è veramente tenace, essa penetra profondamente nelle crepe delle rocce. PEr quanto noi tagliamo l’albero che cresce sopra la terra, la radice non subisce conseguenze, essa continua a gettare fuori nuovi germogli. La sua distruzione è impossibile. L’ego dell’uomo è paragonato alla radice del pipal, che tuttavia è inocua.

L’egoismo, d’altra parte, ricade con accresciuta forza sulla persona che tenta di sopprimerlo. in questo senso è come una tigre che attacca l’aggressore. Non c’è salvezza a meno che non si uccida la tigre. Shiva considera l’egoismo pericoloso come una tigre. Egli veste con una pelle di tigre che si è procurata uccidendo quella infida bestia. Il senso è che ogni aspirante spirituale deve sconfiggere la spaventosa bestia dell’egoismo che giorno e notte sta in agguato nel suo cuore. La vittoria su di esso spalanca la porta della dimora della spiritualità.

La mente è come un cervo, non sta ferma in un posto. In men che non si dica balza da luogo a luogo. La mente è instabile come quello sciocco animale. La sua natura è di saltare da un’idea a un’altra. La sua attenzione è sempre fugace.Diventa uno Yogi soltanto colui che ha imparato a domare e a mettere le briglie alla mente. il Signore rivela questa regola avvincente nella sua danza di gioia. Con una mano tiene un cervo. Nonostante sia trattenuto in una forte stretta, l’animale può permettersi di dirigere il suo sguardo su diverse cose esterne, ma è stato domato e addestrato a compiere il più difficile dei compiti. Ha appreso a trarre beatitudine nel fissare costantemente il suo sguardo sul viso benevolo del suo Signore. In e con questo esempio, il Signore esorta lo Yogi a ricorrere al controllo della mente.La mente deve essere sempre tenuta in forte stretta e deve essere incessantemente mantenuta a meditare sulla Gloria del suo Fattore. Occuparsi incessantemente della divinità risulta essere l’unico modo per trasformare la mente dal capriccio alla costanza.

Nataraja tiene un piccolo tamburo in una mano. Ciò indica che Dio è la sorgente del suono. In linguaggio filosofico è detto Nata-Brahman, “La parola è in Dio e la parola è Dio”. Il suono cosmico è eguagliato a Dio. Questo suono funziona anche come un seme. Dal seme del suono si è manifestato l’albero dell’universo. Il suono è la causa e l’universo è l’effetto. Producendo il suono può essere creato il cosmo. Trattenendo il suono l’universo può essere ritirato. Fare uso appropriato del suono è una forma di preghiera.

Ogni individuo è un universo in miniatura. Da esso emana costantemente il suono. Ogni mutamento prodotto nella vibrazione del suono in un individuo produce a un cambiamento corrispondente nella costituzine dell’individuo. Ci sono certi suoni mistici che servono come semi di Divinità. Alcuni suoni mistici di tal genere sono stati ammessi come nomi di Dio. Essi son eterni come Dio stesso. Come il seme è l’albero nella sua forma potenziale, il suono mistico è Dio nella sua forma potenziale.

Mantra è la parola tecnica usata per le sillabe mistiche. Etimologicamente la parola mantra significa “ciò che riplasma la mente in divinità”. Se l’aspirante spirituale intraprende la pronuncia del mantra pienamente e incessantemente, egli passa attraverso una corrispondente trasformazione nella Divinità. Pronunciare il suono cosmico conduce alla sintonizzazioen conn la Personalità Cosmica che, a sua volta, produce la metamorfosi nell’aspirante.

Tenendo il tamburo in una mano Shiva impartisce dunque questa grande lezione spirituale.

In un’altra mano il Signore tiene un Fuoco ardente che è un agente purificante sul piano materiale. Esso brucia e riduce in cenere il materiale di scarto indesiderabile e raffina i metalli dalle scorie. In cento e uno modi esso serve per pulire la natura dalle sue impurità. Sul piano spirituale esso simbolizza la Conoscenza Divina. Il fuoco è capace di distruggere piccole cose e di creare devastazione nel mondo se assume vaste proporzioni. Il corpo di un uomo può essere completamente bruciato e un pugno di cenere è tutto ciò che resta a raccontare la storia della sua esistenza di un tempo nella forma.

La Conoscenza Divina è più distruttiva dell’elemento chiamato fuoco. Con l’alba della conoscenza spirituale l’elemento umano viene bruciato nell’uomo, lasciando dietro di sé la cenere sacra della Divinità.

Karma è il seme che propaga e mantiene l’esistenza mondana. La conoscenza spirituale riduce questo seme di Karma in cenere. Al suo posto, come ricompensa, si ottiene l’immortalità. La ruota della nascita e della morte cede il posto a Shiva-Jnanam (Pura Conoscenza). Il Fuoco Ardente nella mano di Shiva trasmette questo avvincente messaggio.

Shiva ha il corpo cosparso di cenere, il residuo su cui il fuoco non può più agire e a quel punto è immutabile. Per questa ragione la cenere sacra stessa simbolizza l’Indistruttibile che è Shiva. Benché l’esperienza del mondo fenomenico sia ridotta in cenere dal Fuoco Ardente di Shiva-Jnanam, non c’è in ciò né angoscia né rinuncia alla gioia. Ne risulta l’ingresso nel più alto regno dell’esistenza e il godimento della Beatitudine Suprema.

Questo stato di vigilanza nel noumeno è indicato dalla falce di luna che adorna la chioma di Shiva. La luna crescente è l’espressione della purezza e della freschezza. Colui che partecipa dell’ambrosia diventa immortale nel mondo relativo, che è limitato da tempo, spazio e causalità. Ma colui che partecipa del’ambrosia di Shiva-Jnanam entra in Beatitudine Assoluta. La luna crescente simbolizza la grandezza che è spiritualità.

Ci sono vari aspetti nella danza di Shiva. Il lavoro della natura è controllato e diretto da Lui. C’è equilibrio nel centro dell’oscillazione. C’è armonia dietro l’apparente discordia. L’esultanza indossa il manto dell’eccitazione. Questa sinfonia nella natura è vista come la Danza di Shiva.

Madre natura e Padre Shiva partecipano entrambe alla Danza Cosmica. Essi manifestano gioia nel proiettare e nel muovere l’universo. La gioia esuberante si manifesta come Danza.

L’universo fenomenico è il corpo fisico di Shiva. Nel suo movimento la sua estasi diviene auto evidente. Sul piano del noumeno c’è anche un altro aspetto della sua Danza: l’universo con la sua buona e cattiva sorte è lasciato alle spalle. Persiste solo la pura coscienza nella sua immacolata sovrabbondanza. Ciò è dominato come Oordhava Tandavam, la “Danza Elevata”. In essa ogni fatto fenomenico è dimenticato.

La mitologia ha il suo modo peculiare di esprimere questa realizzazione spirituale. Shiva e Shakti (l’Energia Universale) danzavano in estasi. Per lungo tempo non furono da meno l’uno dell’altro. Ma quando giunsero al punto in cui, danzando, un piede venne sollevato al di sopra della testa, Sakti si confuse (intimidì) e ammise la sconfitta. Shiva si dimostrò insuperabile in questa posa.

La forma femminile ha le sue limitazioni, dal punto di vista del mondo, ma dal punto di vista filosofico, nei piani più bassi dell’esistenza, Natura e Spirito sono partner equivalenti nel sacro atto dell’autoespressione. Nello stato trascendentale, d’altro canto, la natura è lasciata ale spalle solo lo spirito splende nella sua gloria primitiva.

08. Sabhapati

(dal testo “Facets of Brahman, or the Hindu Gods” by Swami Chidbhavananda)

Sabhapati è un altro nome assegnato a Shiva. Il significato letterale di questo termine è “La divinità che presiede l’assemblea”. Il cosmo è la sala di riunione, la Terra, la Luna, il Sole, le stelle e gli altri corpi celesti hanno in esso il loro proprio posto. Essi muovono in armonia e con precisione grazie all’augusta presenza e al potere della divinità presiedente. La regolarità dei movimenti dei corpi celesti e lo splendore della loro organizzazione conferisce un’evidenza particolare alla sovranità di quella divinità.

Tutti gli esseri inclusi tra la ameba ed il saggio pienamente evoluto nella perfezione spirituale, hanno la loro propria collocazione in quell’assemblea. Si citano in modo speciale le anime altamente evolute che ammontano a milioni. Tutte rendono omaggio a Shiva, la Coscienza Cosmica, che adatta la loro posizione nella vita.

Le creature ordinarie sono capaci di affermare la loro individualità al meglio della loro abilità grazie alla presenza di Shiva in essi. i cuori degli innumerevoli esseri sono anche considerati come sala di riunione per la presenza di Shiva al loro interno. Ogni passo avanti che gli esseri compiono è indotto dalla invisibile Presenza nel Cuore. L’ordine, il ritmo, la regolarità nello spettacolo chiamato universo sono il risultato dell’augusta Presenza di Sabhapati.

07. Neelekanta

(dal testo “Facets of Brahman, or the Hindu Gods” by Swami Chidbhavananda)

Uno dei nomi più noti con cui Shiva viene distinto dalle altre divinità è Neelekanta. Il significato di questo appellativo è “colui la cui gola è tinta di blu”. C’è un retroscena mitologico per cui questo nome è assegnato al Signore.

La mitologia abbonda di storie che riguardano dèmoni ed esseri celesti che mai andarono d’accordo. Per loro era la norma essere sempre ai ferri corti. Tuttavia ci fu un punto sul quale furono d’accordo: si unirono per sbattere l’oceano di latte eper dividersi le imprese da compiere.

Il monte Sumero fu destinato a servire da paletta della zangola, e il Serpente Vasuki come fune per sbattere.  Essi si applicarono con diligenza al grande compito. Il progresso che ottennero era veramente promettente. Miravano ad ottenere l’ambrosia ma ciò che arrivò prima di questa si scoprì che non era di minore importanza: la dea della sapienza, la dea della ricchezza, il famoso ornamento Kanstubba, il focoso cavallo Uchaisravas, il maestoso elefante bianco Iravat, l’albero dei desideri Kalpataru e Kamadhenu, la mucca dell’abbondanza. Questi furono i fiumi prodotti che precedettero l’approvigionamento di ambrosia.

Allora essi si impegnarono più tenacemente e c’era la possibilità che riuscissero a conseguire ciò che desideravano, ma gli eventi improvvisamente presero una svolta. Invece del nettare a lungo desiderato, dalla bocca del serpente che serviva come corda per sbattere, uscì un terribile veleno. Questo creò panico tra i partecipanti. Il pericolo di sterminio dilagò ovunque. Automaticamente gli dei e i dèmoni se la diedero a gambe. Essi si tuffarono nei regni inferiori, ma non c’era scampo, il veleno li tallonava. Senza difesa essi salirono al mondo non permanente, non c’era scampo neppure lì. Allora si alzarono fino alle regioni celesti. Anche là non c’era scampo. Infine ricorsero a Shiva, il Grande Dio, e si arresero a Lui.

Mosso a compassione per gli esseri che imploravano la Sua protezione, il Grande Dio raccolse quel veleno mortale e lo inghiottì. Invece di soccombere ad esso come gli ordinari mortali, gli assegnò un luogo nella sua gola e si dimostrò il “Dispensatore di immortalità”. Il veleno rimase come una chiazza blu sulla sua gola.

Dopo essere stati salvati in questo modo, i Deva (divinità risplendenti) e gli Asuras (déi cattivi, malefici, considerati anche demoni) ripresero a sbattere l’oceano e condiviero l’ambrosia che ottennero.

L’oceano di latte indica l’inesauribile e perenne riserva di cibo che la Natura è capace di fornire agli esseri viventi. Tra gli abitanti del mondo, gli esseri umani possono essere in senso ampio ricondotti a due tipi: il buono e il cattivo (Devas e Asuras). Questi due gruppi non sono quasi mai in armonia l’uno con l’altro. C’è tuttavia un interesse comune che li tiene insieme, sono sempre pronti a spremere l’arancia della vita.

Nella lotta per l’esistenza e nel tentativo di rendere più piena la vita nessun altro essere eguaglia l’uomo, sia egli buono o cattivo. Egli accumula ricchezze in varie forme: piatti di bocconi prelibati, abiti e ornamenti splendidi, veicoli veloci e confortevoli, denaro che ha il potere di acquistare ogni bene terreno. Tutto questo e di più l’uomo cerca di ottenere con successo più o meno grande. Alla fine si fa avanti il veleno della morte da cui non c’è scampo, indipendentemente da quale regione l’uomo andrà a raggiungere.

Se la morte deve essere vinta, se l’uomo vuole ottenere l’immortalità deve offrirsi a Shiva, “Colui che consuma la morte”.

Nel loro atto di sbattere l’oceano della vita gli esseri umani producono costantemente veleno. Essi inalano aria pura ed esalano aria viziata. Essi bevono acqua buona e la espellono come urina. Essi assumono cibi saporiti e li evacuano come escrementi. Attraverso tutte le aperture del corpo, gli uomini espellono costantemente materiale cattivo che corrisponde a veleno.

Assumento la forma di Madre Natura Neelakanta consuma incessantemente quel veleno e lo trasforma in ambrosia. Questo suo atto benefico procede in eterno. Il devoto di Dio imita questo grande atto per quanto può, egli è sempre intento a fare bene agli altri e volontieri prende su se stesso la sofferenza che ciò implica.

06. Gangadhara

(dal testo “Facets of Brahman, or the Hindu Gods” by Swami Chidbhavananda)

La realtà è sempre perfetta e completa in sè stessa. La lettura e l’interpretazione di questo, se così si può dire, varia secondo la nostra capacità di farla. Essa si rivela come Natura a coloro che la contattano con il mezzo dei sensi e dell’intelletto. A coloro che lo intuiscono attraverso l’intelletto purificato, lo stesso Essere si presenta come la Realtà Trascendente. La parola Gangadhara connota sia la Realtà immanente che quella trascendente. Nel linguaggio mitologico si riferisce al Signore Shiva che sostiene e guida il flusso del fiume Gange. Si dice che questo sacro fiume abbia il suo corso nei tre regni: etrico, materiale e inferiore.

Nel nostro piano fisico l’Himalaya rappresenta il Signore Shiva, essendo il parallelismo tra i due esseri identico in gran parte. La discesa dell’energia divina è coordinata e diretta per il bene del mondo dal Grande Dio Shiva. I rovesci torrenziali di pioggia e le bufere di neve sono bloccate dall’Himalaya, esse sono quindi trasformate nelle perenni sorgenti del Gange che emerge nelle terre basse, nelle pianure, nella sua missione santificante e produttrice di nutrimento.

I fenomeni fisici sull’Himalaya e la mitica presentazione del Signore Shiva fanno entrambe riferimento all’esperienza mistica dello Yogi. Nella corona della sua testa rimane un deposito di ambrosia in forma latente. Attraverso la disciplina e l’autocontrollo questa ambrosia diventa manifesta. Quando questo nettare discende dalla testa nel cuore, si sperimenta una sovrrabbondante beatitudine. La vita dello Yogi nel corpo fisico raggiunge il suo culmine nell’esperienza di tale beatitudine. È Shiva, è il Signore degli Yogi. Il suo sostenere il Gange sul Suo capo simboleggia l’ambrosia dello Yogi. Ciò che il Gange rivela attraverso i sensi, l’esperienza mistica lo rivela attraverso i supersensi.

05. Rudra

(dal testo “Facets of Brahman, or the Hindu Gods” by Swami Chidbhavananda)

Tra gli appellativi attribuiti a Shiva, è veramente significativo il termine Rudra. Apparentemente connota due idee contrastanti: Rudra è colui che vessa e fa piangere ed allo stesso tempo è il dispensatore di benedizione. Può la prosperità essere il prodotto del dolore?

Il processo di purificare l’anima da tutti i peccati avviene nel laboratorio chiamato “vita”. Rudra personifica la morte, che è inevitabile per tutti gli esseri incarnati. Ma la gente non è preparata a tener conto dell’inevitabile. La morte semina terrore in loro. Essi non sono preparati a rassegnarsi ad essa.

I devoti di Rudra sono coloro che abbracciano la morte. In India I cadaveri vengono cremati per ricordare all’uomo l’impermanenza del corpo grossolano. Rudra è la diinità che tutela il suolo della creamazione. È in realtà il suo tempio. È il codardo che fugge questo luogo sacro come qualcosa di non ausicioso.

Attraverso la trasformazione chiamata morte, Rudra rinnova le anime. Bisogna liberarsi dalla spoglie mortali investite e il Signore si dedica senza posa a questo sacro atto. Di fatto il Signore non è sempre morbido, dolce e sorridente, né è sempre remissivo. In Lui si incontrano gli opposti. Egli è tanto il terrore quanto la mansuetudine. Gli aspetti terrificanti di Shiva sono Rudra e Virabhadra. Egli è come l’oceano che è sia selvaggio che dolce.

Si sconfigge la paura con l’adorazione di Rudra. Per il timoroso andare al terreno di cremazione è contaminante, ma per il coraggioso è un luogo di autopurificazione.

Shiva si è imbrattato con la cenere lasciata dalla cremazione del corpo morto. una collana di bianche ossa adorna il suo corpo. Un teschio nelle sue mani serve come ricettacolo di alms (?). Attraverso questo strano e assurdo aspetto egli rivela che vita e morte sono concomitanti. Una non esclude l’altra.

Colui che è capace di tenere in conto la morte come la vita diventa degno di Natura Divina. “Morte? Non sono scosso da essa”, dice il devoto di Shiva.

Si dice che il Grande Dio onnipervadente si manifesti più in Banaras che in qualsiasi altro luogo. Ed è così perché qui la morte è accettata e riverita più fortemente che in qualsiasi altro luogo sacro. Banaras è chiamata Mahasmasan, “Il Grande Suolo della Cremazione”.

Quando vita e morte sono considerate uguali, la rivelazione di Dio diventa auto-evidente.