venerdì 11 gennaio 2013

09. Nataraja

(dal testo “Facets of Brahman, or the Hindu Gods” by Swami Chidbhavananda)

Nataraja è un altro nome molto conosciuto e usato con cui viene adorato Shiva. Queto appellativo significa “Signore della Danza”. Grazie alla onnipotente presenza del Signore, c’è bellezza nel movimento delle sfere. Questo affascinante movimento è chiamato la sua danza. Sinfonie emanano da essa, perciò la danza è perfetta.

Tre aspetti di Brahman (il principio impersonale supremo e inconoscibile) devono qui essere comparati e confrontati.

La danza della Madre Kali è fenomenica, perciò è realistica. La danza di Shiva è del noumeno e idealista. Solo un intelletto purificato è capace di afferrarla. C’è attivismo in essa, mentre il sonno vigile di Mahavishnu è apparentemente tutto passività, benché sia anche nel noumeno.

Non solo Sabhapati presiede il panorama dell’universo, ma dà anche l’esempio di come le anime che vi aspirano debbano disciplinarsi per ottenere la perfezione. Un insegnante ideale è colui che scende al livello degli allievi e li conduce passo passo a livelli di comprensione sempre più alti. Facendo lezione a se stesso egli induce gli studenti al processo di apprendimento. Shiva è perciò adorato come il primo tra gli insegnanti. Egli guida le anime dal buio alla luce, dalla morte all’immortalità.

Un demone chiamato Andhakasura – o Mayulaka o Apasmara – giace desolato al suolo. Il suo fisico non ha nulla di aggraziato.Nataraja danza. Il suo piede destro quasi mai calpesta questo demone prostrato. Il demone simbolizza l’esistenza fenomenica. Egli costituisce le tre qualità mondane chiamate Gunas (le qualità, che sono Sattva, l’inerzia – Rajas il desiderio e Tamas l’ignoranza).

Siate nel mondo, ma non del mondo” è la lezione data da Shiva che cammina sul demone. La vita spirituale non è per colui che è legato dalla materia. In silente eloquenza Shiva si degna di concedere questa leyione al mondo illuso. L’altro piede, che è sollevato, comunica un altro messaggio.

Gli esseri viventi sono normalmente impegolati in stati di coscienza chiamati di veglia, sogno e sonno senza sogni. Essi passano attraverso queste esperienze in successione e non simultaneamente. Durante lo stato di vegli gli altri sono negati. In questo modo tutte e tre le esperienze subiscono l’annientamento una dopo l’altra. Hanno stretto il patto di non coesistere né di lasciare il campo tutte allo stesso tempo. In questa triplice alleanza succede che in un certo momento, nel corso della giornata, regni supremo uno solo di questi stati, e ciò che ha luogo in un giorno è invariabilmente ripetuto per tutta la vita dell’individuo. In questa mutevole situazione (sistema), di tanto in tanto è consentita una piccola variazione, ma nessuno del gruppo pensa mai di prendersi una vacanza.

A questo punto viene una chiara asserzione filosofica la cui verità neppure una persona su un milione è in grado di afferrare: “Qualunque cosa esista in un dato momento e cessi di esistere in un altro, non ha valore permanente”. un simile fenomeno transitorio è soltanto una verità relativa. Non ha né esistenza né valore assoluto. Questa massima conduce alla logica conclusione che tutti tre gli stati di esistenza – lo stato di veglia, di sogno e quello di sonno muto – sono pure fasi transitorie nella vita che indicano ciascuna a turno l’inattendibilità (o instabilità) delle altre due.

Varie denominazioni filosofiche sono assegnate a questi tre stati di esperienza: avasta triam, dominii dei tre dèmoni, tre piani di coscienza, tre mondi, tre irrealtà. Questi sono alcuni dei termini più diffusi. Il piede sollevato di Nataraja indica l’esortazione agli aspiranti spirituali a trascendere l’esistenza fenomenica, che è costituita da queste tre fasi transitorie.

Qui sorge un’altre domanda: c’è qualcosa che rimane quando questi tre stati di coscienza sono negati? La logica conclusione è che se nono ci fosse un substrato comune o un qualcosa che rimane, per così dire, non ci sarebbe continuità nell’individualità di nessuno. La persona che andasse a dormire la sera prima sarebbe diversa da quella che si sveglia la mattina successiva. A quella stregua non ci sarebbero né doveri, né obblighi e né responsabilità da parte di nessuno per gli atti di omissione e per quelli commessi. Ma il fatto è che l’individualità di una persona persiste in tutti e tre gli stati e anche nello stato trascendentale. Il Signore Shiva rende autoevidente che lo stato trascendentale è molto superiore all’esistenza fenomenica tri-fase.

La coscienza è considerata essere il substrato comune ai tre stati di esistenza così come allo stato trascendentale. Da ultimo il trascendentale si espande nell’assoluto, la meta verso la quale gli esseri stanno viaggiando consciamente o inconsciamente. Ciò che resta nello stato assoluto è Pura Coscienza o Pura Consapevolezza. Shiva ne è l’espressione. Shiva e la pura coscienza sono uno e la stessa cosa. La sua danza è per condurre le anime in questa Pura Esistenza, la danza di Shiva è chiamata “La Danza dell’Esuberanza” (sovrabbondanza).

L’egoismo è definito come l’identificazione del sé con il “non sé”. Il sé dell’uomo è l’Atman (Spirito Universale, l’Anima Suprema) e il “non sé” il corpo. L’uomo pensa a sé stesso come corpo e questo è egoismo. Ciò deve essere trasceso per emergere nella spiritualità. L’ego è paragonato alla radice dell’albero pipal e alla tigre. La radice dell’albero pipal è veramente tenace, essa penetra profondamente nelle crepe delle rocce. PEr quanto noi tagliamo l’albero che cresce sopra la terra, la radice non subisce conseguenze, essa continua a gettare fuori nuovi germogli. La sua distruzione è impossibile. L’ego dell’uomo è paragonato alla radice del pipal, che tuttavia è inocua.

L’egoismo, d’altra parte, ricade con accresciuta forza sulla persona che tenta di sopprimerlo. in questo senso è come una tigre che attacca l’aggressore. Non c’è salvezza a meno che non si uccida la tigre. Shiva considera l’egoismo pericoloso come una tigre. Egli veste con una pelle di tigre che si è procurata uccidendo quella infida bestia. Il senso è che ogni aspirante spirituale deve sconfiggere la spaventosa bestia dell’egoismo che giorno e notte sta in agguato nel suo cuore. La vittoria su di esso spalanca la porta della dimora della spiritualità.

La mente è come un cervo, non sta ferma in un posto. In men che non si dica balza da luogo a luogo. La mente è instabile come quello sciocco animale. La sua natura è di saltare da un’idea a un’altra. La sua attenzione è sempre fugace.Diventa uno Yogi soltanto colui che ha imparato a domare e a mettere le briglie alla mente. il Signore rivela questa regola avvincente nella sua danza di gioia. Con una mano tiene un cervo. Nonostante sia trattenuto in una forte stretta, l’animale può permettersi di dirigere il suo sguardo su diverse cose esterne, ma è stato domato e addestrato a compiere il più difficile dei compiti. Ha appreso a trarre beatitudine nel fissare costantemente il suo sguardo sul viso benevolo del suo Signore. In e con questo esempio, il Signore esorta lo Yogi a ricorrere al controllo della mente.La mente deve essere sempre tenuta in forte stretta e deve essere incessantemente mantenuta a meditare sulla Gloria del suo Fattore. Occuparsi incessantemente della divinità risulta essere l’unico modo per trasformare la mente dal capriccio alla costanza.

Nataraja tiene un piccolo tamburo in una mano. Ciò indica che Dio è la sorgente del suono. In linguaggio filosofico è detto Nata-Brahman, “La parola è in Dio e la parola è Dio”. Il suono cosmico è eguagliato a Dio. Questo suono funziona anche come un seme. Dal seme del suono si è manifestato l’albero dell’universo. Il suono è la causa e l’universo è l’effetto. Producendo il suono può essere creato il cosmo. Trattenendo il suono l’universo può essere ritirato. Fare uso appropriato del suono è una forma di preghiera.

Ogni individuo è un universo in miniatura. Da esso emana costantemente il suono. Ogni mutamento prodotto nella vibrazione del suono in un individuo produce a un cambiamento corrispondente nella costituzine dell’individuo. Ci sono certi suoni mistici che servono come semi di Divinità. Alcuni suoni mistici di tal genere sono stati ammessi come nomi di Dio. Essi son eterni come Dio stesso. Come il seme è l’albero nella sua forma potenziale, il suono mistico è Dio nella sua forma potenziale.

Mantra è la parola tecnica usata per le sillabe mistiche. Etimologicamente la parola mantra significa “ciò che riplasma la mente in divinità”. Se l’aspirante spirituale intraprende la pronuncia del mantra pienamente e incessantemente, egli passa attraverso una corrispondente trasformazione nella Divinità. Pronunciare il suono cosmico conduce alla sintonizzazioen conn la Personalità Cosmica che, a sua volta, produce la metamorfosi nell’aspirante.

Tenendo il tamburo in una mano Shiva impartisce dunque questa grande lezione spirituale.

In un’altra mano il Signore tiene un Fuoco ardente che è un agente purificante sul piano materiale. Esso brucia e riduce in cenere il materiale di scarto indesiderabile e raffina i metalli dalle scorie. In cento e uno modi esso serve per pulire la natura dalle sue impurità. Sul piano spirituale esso simbolizza la Conoscenza Divina. Il fuoco è capace di distruggere piccole cose e di creare devastazione nel mondo se assume vaste proporzioni. Il corpo di un uomo può essere completamente bruciato e un pugno di cenere è tutto ciò che resta a raccontare la storia della sua esistenza di un tempo nella forma.

La Conoscenza Divina è più distruttiva dell’elemento chiamato fuoco. Con l’alba della conoscenza spirituale l’elemento umano viene bruciato nell’uomo, lasciando dietro di sé la cenere sacra della Divinità.

Karma è il seme che propaga e mantiene l’esistenza mondana. La conoscenza spirituale riduce questo seme di Karma in cenere. Al suo posto, come ricompensa, si ottiene l’immortalità. La ruota della nascita e della morte cede il posto a Shiva-Jnanam (Pura Conoscenza). Il Fuoco Ardente nella mano di Shiva trasmette questo avvincente messaggio.

Shiva ha il corpo cosparso di cenere, il residuo su cui il fuoco non può più agire e a quel punto è immutabile. Per questa ragione la cenere sacra stessa simbolizza l’Indistruttibile che è Shiva. Benché l’esperienza del mondo fenomenico sia ridotta in cenere dal Fuoco Ardente di Shiva-Jnanam, non c’è in ciò né angoscia né rinuncia alla gioia. Ne risulta l’ingresso nel più alto regno dell’esistenza e il godimento della Beatitudine Suprema.

Questo stato di vigilanza nel noumeno è indicato dalla falce di luna che adorna la chioma di Shiva. La luna crescente è l’espressione della purezza e della freschezza. Colui che partecipa dell’ambrosia diventa immortale nel mondo relativo, che è limitato da tempo, spazio e causalità. Ma colui che partecipa del’ambrosia di Shiva-Jnanam entra in Beatitudine Assoluta. La luna crescente simbolizza la grandezza che è spiritualità.

Ci sono vari aspetti nella danza di Shiva. Il lavoro della natura è controllato e diretto da Lui. C’è equilibrio nel centro dell’oscillazione. C’è armonia dietro l’apparente discordia. L’esultanza indossa il manto dell’eccitazione. Questa sinfonia nella natura è vista come la Danza di Shiva.

Madre natura e Padre Shiva partecipano entrambe alla Danza Cosmica. Essi manifestano gioia nel proiettare e nel muovere l’universo. La gioia esuberante si manifesta come Danza.

L’universo fenomenico è il corpo fisico di Shiva. Nel suo movimento la sua estasi diviene auto evidente. Sul piano del noumeno c’è anche un altro aspetto della sua Danza: l’universo con la sua buona e cattiva sorte è lasciato alle spalle. Persiste solo la pura coscienza nella sua immacolata sovrabbondanza. Ciò è dominato come Oordhava Tandavam, la “Danza Elevata”. In essa ogni fatto fenomenico è dimenticato.

La mitologia ha il suo modo peculiare di esprimere questa realizzazione spirituale. Shiva e Shakti (l’Energia Universale) danzavano in estasi. Per lungo tempo non furono da meno l’uno dell’altro. Ma quando giunsero al punto in cui, danzando, un piede venne sollevato al di sopra della testa, Sakti si confuse (intimidì) e ammise la sconfitta. Shiva si dimostrò insuperabile in questa posa.

La forma femminile ha le sue limitazioni, dal punto di vista del mondo, ma dal punto di vista filosofico, nei piani più bassi dell’esistenza, Natura e Spirito sono partner equivalenti nel sacro atto dell’autoespressione. Nello stato trascendentale, d’altro canto, la natura è lasciata ale spalle solo lo spirito splende nella sua gloria primitiva.

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