venerdì 11 gennaio 2013

07. Neelekanta

(dal testo “Facets of Brahman, or the Hindu Gods” by Swami Chidbhavananda)

Uno dei nomi più noti con cui Shiva viene distinto dalle altre divinità è Neelekanta. Il significato di questo appellativo è “colui la cui gola è tinta di blu”. C’è un retroscena mitologico per cui questo nome è assegnato al Signore.

La mitologia abbonda di storie che riguardano dèmoni ed esseri celesti che mai andarono d’accordo. Per loro era la norma essere sempre ai ferri corti. Tuttavia ci fu un punto sul quale furono d’accordo: si unirono per sbattere l’oceano di latte eper dividersi le imprese da compiere.

Il monte Sumero fu destinato a servire da paletta della zangola, e il Serpente Vasuki come fune per sbattere.  Essi si applicarono con diligenza al grande compito. Il progresso che ottennero era veramente promettente. Miravano ad ottenere l’ambrosia ma ciò che arrivò prima di questa si scoprì che non era di minore importanza: la dea della sapienza, la dea della ricchezza, il famoso ornamento Kanstubba, il focoso cavallo Uchaisravas, il maestoso elefante bianco Iravat, l’albero dei desideri Kalpataru e Kamadhenu, la mucca dell’abbondanza. Questi furono i fiumi prodotti che precedettero l’approvigionamento di ambrosia.

Allora essi si impegnarono più tenacemente e c’era la possibilità che riuscissero a conseguire ciò che desideravano, ma gli eventi improvvisamente presero una svolta. Invece del nettare a lungo desiderato, dalla bocca del serpente che serviva come corda per sbattere, uscì un terribile veleno. Questo creò panico tra i partecipanti. Il pericolo di sterminio dilagò ovunque. Automaticamente gli dei e i dèmoni se la diedero a gambe. Essi si tuffarono nei regni inferiori, ma non c’era scampo, il veleno li tallonava. Senza difesa essi salirono al mondo non permanente, non c’era scampo neppure lì. Allora si alzarono fino alle regioni celesti. Anche là non c’era scampo. Infine ricorsero a Shiva, il Grande Dio, e si arresero a Lui.

Mosso a compassione per gli esseri che imploravano la Sua protezione, il Grande Dio raccolse quel veleno mortale e lo inghiottì. Invece di soccombere ad esso come gli ordinari mortali, gli assegnò un luogo nella sua gola e si dimostrò il “Dispensatore di immortalità”. Il veleno rimase come una chiazza blu sulla sua gola.

Dopo essere stati salvati in questo modo, i Deva (divinità risplendenti) e gli Asuras (déi cattivi, malefici, considerati anche demoni) ripresero a sbattere l’oceano e condiviero l’ambrosia che ottennero.

L’oceano di latte indica l’inesauribile e perenne riserva di cibo che la Natura è capace di fornire agli esseri viventi. Tra gli abitanti del mondo, gli esseri umani possono essere in senso ampio ricondotti a due tipi: il buono e il cattivo (Devas e Asuras). Questi due gruppi non sono quasi mai in armonia l’uno con l’altro. C’è tuttavia un interesse comune che li tiene insieme, sono sempre pronti a spremere l’arancia della vita.

Nella lotta per l’esistenza e nel tentativo di rendere più piena la vita nessun altro essere eguaglia l’uomo, sia egli buono o cattivo. Egli accumula ricchezze in varie forme: piatti di bocconi prelibati, abiti e ornamenti splendidi, veicoli veloci e confortevoli, denaro che ha il potere di acquistare ogni bene terreno. Tutto questo e di più l’uomo cerca di ottenere con successo più o meno grande. Alla fine si fa avanti il veleno della morte da cui non c’è scampo, indipendentemente da quale regione l’uomo andrà a raggiungere.

Se la morte deve essere vinta, se l’uomo vuole ottenere l’immortalità deve offrirsi a Shiva, “Colui che consuma la morte”.

Nel loro atto di sbattere l’oceano della vita gli esseri umani producono costantemente veleno. Essi inalano aria pura ed esalano aria viziata. Essi bevono acqua buona e la espellono come urina. Essi assumono cibi saporiti e li evacuano come escrementi. Attraverso tutte le aperture del corpo, gli uomini espellono costantemente materiale cattivo che corrisponde a veleno.

Assumento la forma di Madre Natura Neelakanta consuma incessantemente quel veleno e lo trasforma in ambrosia. Questo suo atto benefico procede in eterno. Il devoto di Dio imita questo grande atto per quanto può, egli è sempre intento a fare bene agli altri e volontieri prende su se stesso la sofferenza che ciò implica.

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